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MANDRIE DI BUOI SI MUOVONO

Mandrie di buoi si muovono..Oggi, in questa mattinata uggiosa, mi muovo per le vie della città, di mattina presto. In stato di presenza, osservo, camminando. A passo veloce, sono presente, mi richiamo al ricordo, ed osservo consapevolmente e senza giudizio. Osservo masse di buoi con i paraocchi che si muovono verso le loro celle di prigionia. Vanno verso la loro prigionia di otto/dieci ore consecutive. MI chiedo: chissà quali saranno i loro pensieri. Forse: “sono disperato, non ce la faccio più, adesso mi devo fare un ‘altra giornata”. Oppure con la mente possono essere già al domani o alla sera del giorno stesso.

mandrie

Il lavoro? ormai ridotto ad una miseria costrittiva. E gli esseri umani? Schiavi ignari di esserlo. Spintonano sugli autobus per arrivare prima nelle prigioni, fanno la fila per inserire il badge che li marchia, vanno a passo veloce per non essere puniti.

Eppure pochissimi di loro potranno avere il coraggio di scegliere una vita differente. Di affrontare una vita lavorativa autonoma e con uno spirito da guerriero. Guai a chi lascia il lavoro per scelta autonoma, e guai a si lasci guidare dal cuore anziché dalla ragione. Tu servo come osi ribellarti ad un ordino costituito che ti permette di avere un’ora d’aria ogni tanto.

E’ una condanna tutto questo? Una condanna in attesa di qualcosa che si chiama pensione o forse è meglio scrivere un’attesa della fine?

Uno stato di presenza può aiutarci tantissimo a guardare le cose in una maniera capovolta, a vincere le paure e le ossessione. Lo stato di presenza può farci uscire verticalmente da una situazione obiettivamente insostenibile.

In ogni caso chi non si muoverà oggi, chi non fare le proprie scelte si troverà da un giorno all’altra di fronte al fatto compiuto. Se non sarà preparato subirà il nuovo ordine delle cose come una separazione, un lutto e le conseguenze saranno importanti

Ecco un piccolo brano tratto dal mio Sogno o son sveglio, edizioni Sensoinverso, 2013:

Oggi milioni di persone sopportano lavori detestabili a cui rimangono appesi con un labile filo. Oggi si fa passare il lavoro per concessione di grazia da parte del datore di lavoro. Si va avanti a minacce. Se vuoi mantenere questo posto di lavoro devi adeguarti. O ti mangi questa minestra o ti butti dalla finestra. E qualcuno si butta dalla finestra sul serio…tragicamente. Il lavoro non è più elevazione dell’essere umano, realizzazione di tutti i talenti e le capacità, creatività in azione. Ma semplice sopportazione di una nausea che da il voltastomaco condita dalla paura.

Masse di buoi si muovono..

 

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MA IL TUO E’ UN LAVORO INFAME?

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  1. Il tuo capo, i tuoi capi non si sono mai interessati a te come persona? Non sanno nulla della tua vita extra lavorativa, della tua famiglia, dei tuoi interessi e delle tue passioni?
  2. Non riesci a percepire il senso del tuo lavoro. Non comprendi a chi possa portare beneficio quello che fai?
  3. Non hai nessun parametro per poter valutare il successo nella tua attività lavorativa? Non hai criteri di automisurazione delle tue performance?

BENVENUTO TRA I LAVORI INFAMI!  Forse è arrivato il momento di guardarsi intorno..o se sei un manager di cambiare le regole del gioco.

Questi sono i principi apparentemente molto semplici ma geniali del bellissimo libro di Patrick Lencioni “I tre segni di una lavoro infame” http://etaslab.corriere.it/dynuni/dyn/Catalogo/14728_Lencioni_Lavoro-infame.jhtml.

Svolgere tutti i giorni un lavoro infame ha delle conseguenze su di noi e sulla società. Le ripercussioni sulla nostra salute psicologica e fisica sono a volte irrimediabili. Sulla società significa far rendere organizzazioni potenzialmente di successo molto meno o peggio..portarle al fallimento.

Ed allora attenzione a questi tre semplici principi:

  • ANONIMATO  Ciascun individuo richiede di essere riconosciuto, pur se inserito in una organizzazione lavorativa, come essere umano. Appartiene ai nostri bisogni ancestrali l’accettazione sociale. Sviluppare un interesse genuino, da parte del management, nei confronti del collaboratore, accresce il suo senso di appartenenza e di utilità e di conseguenza la sua performance.
  • IRRILEVANZA La nostra soddisfazione sul lavoro non dipende dal tipo di lavoro che svolgiamo. Ci sono manager frustrati, miliardari che si drogano e invece magazzinieri felici, donne delle pulizie appagati.  La nostra gioia sul lavoro dipende dalla percezione che abbiamo della sua utilità per il prossimo. Più riusciamo a comprendere il senso di necessità e più ci sentiamo realizzati.
  • NON MISURABILITA’  I dipendenti messi in condizione di misurare il proprio progresso o contributo svilupperanno un maggior senso di responsabilità personale e una maggiore soddisfazione rispetto a tutti coloro che non ne hanno l’opportunità”.

La gran parte delle persone svolge attività che portano insoddisfazione, stress, ansia o angoscia e molte volte anche se emotivamente mature si portano a casa queste tensioni. TUTTO QUESTO HA UN IMPATTO SOCIALE DEVASTANTE. Chi può fare qualcosa per cambiare questo stato di cose sono i manager. E perchè non lo fanno? Lascio l’interrogativo aperto e vi invito calorosamente a rispondermi.

Un a presto.

Luigi

 

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